Attraverso l’iniziativa “Eat my Dust” il raffinato viaggiatore del gusto, col suo tempietto/ristorante nel centro di Milano, presta la sua immagine alla promozione del veicolo Ford. Il pick-up in questione è il Ranger Raptor, nome che basterebbe da sé a illustrare l’orgogliosa rivendicazione di potenza e velocità insita nel progetto automobilistico. Ma cos’avranno in comune il viaggiatore raffinato Eugenio Boer, patron del “Bu:r” (omofono del cognome dello chef italo-olandese) e socio Euro-Toques, con il Raptor?
Premettiamo che questo pick-up non è il massimo, se si tratta di accompagnare i bimbi a scuola nel centro storico di Milano, gli serve qualcosa di più sfidante: con gli ammortizzatori “intelligenti” che si ritrova, infatti, è in grado di aumentare e ridurre la capacità di smorzamento delle sospensioni e di garantire, in ogni occasione, un’ esperienza di guida fluida e confortevole, sia durante le performance più estreme, sia nel caso di percorsi stradali più ordinari.
La versatilità del mezzo, al di là delle sospensioni, è comunque a 360° gradi: Il Ranger Raptor consente di scegliere tra sei modalità di guida diverse, grazie alla tecnologia Terrain Management System, per affrontare una vasta gamma di scenari di guida. Due sono le modalità on road (normal e sport) e quattro quelle off-road per i terreni più svariati (erba, neve, fango, sabbia e roccia), tra cui spicca la modalità Baja: un nome che richiama la famosa gara di rally Baja 1.000, attraverso la penisola messicana della Baja California, uno degli eventi fuoristrada più prestigiosi al mondo.
«La comodità di questo pick-up della Ford sorprende – ha voluto commentare lo chef Boer – il connubio geniale sta proprio in questo: la libertà di sfidare qualsiasi limite della strada avendo a disposizione tutti i comfort. Con la mia ricetta ho voluto richiamare gli elementi della terra e la glorificazione della polvere: e difatti questo ‘Eat my Dust’ è una bavarese a forma di copertone, con rape rosse e formaggio di capra su un letto di ciottoli di funghi , impreziosita da una speciale ‘polvere alle erbe».
E in quali altre maniere un pick-up grande e grosso come il Raptor può essere utile a uno chef?
«Io ci sono andato in Val Brembana, per mettere insieme gli ingredienti di ‘Eat my Dust’, ma mi sembra sfruttabile anche in condizioni, diciamo così, normali: per la sensazione di comfort e stabilità che i passeggeri ne ricavano, per metterci dentro tutto quel che uno chef può comprare al mercato, per andare a stanare l’artigiano del gusto in cima a una montagna, magari col ghiaccio sulla strada. Sembrerà strano ma gli chef, se davvero lo vogliono, trovano il tempo di andare personalmente sul campo, a parlare con i fornitori, a scoprire le erbe, i formaggi, gli ingredienti più esclusivi. Il segreto? Dopo un po’ che fai questo mestiere impari a dormire poco… tre ore e via, con tutto quel che c’è da fare!»
C’è da immaginare un menu, per esempio. Cosa ci propone il ristorante Bu:r per questo autunno/inverno?
«Siccome non è il caso di cambiare senza un motivo preciso, io ripropongo molti dei miei classici: l’Uovo d’Autunno, il Piccione in vacanza in Périgord, il Filetto alla Wellington. Una delle novità già presenti in carta è il piatto di Capesante con sedano rapa al burro nocciola, porcini e nocciola tonda gentile. Il tema del menù come al solito, è il viaggio, da farsi con o senza Raptor; e più che i paesi che si attraversano conta la volontà di farsi contaminare da un continuo vagabondare. Questo, infatti, è il compito di chi lavora nell’accoglienza: cercare di raccontare delle storie ai propri ospiti, e ricevere creativamente le loro storie. È così che si dà vita ad una sana contaminazione».
E al di là del menu 2019/2020, cosa ci riserva il futuro della ristorazione, con tutte le novità che sono in ballo?
«Provo a mettere dei punti fermi: il trionfo del food delivery è sotto gli occhi di tutti, proviamo a chiederci se sia solo una moda. Fa figo, oggi come oggi, ordinare da casa per telefono, ci si sente molto cittadini della moderna metropoli, il meccanismo mentale può esser questo. Quanto a me, io alla ricerca dell’eccellenza ci credo e insisto, e penso di ritagliarmi ancora i miei spazi di mercato, anche perché il mio ‘Bu:r’ in questo anno e tre mesi di vita è andato bene. Certo, noi chef dobbiamo anche smollarci un po’ e concepire il servizio di sala con uno spirito diverso: serve più empatia, più scambio di esperienze, meno importanza alle regole dell’etichetta e più immediatezza nei rapporti tra persone. Sembra un paradosso, ma per fare al meglio il nostro serissimo e delicato lavoro dobbiamo imparare a prenderci meno sul serio».
Meno atteggiamenti seriosi, allora, per arricchire i rapporti umani e facilitare lo scambio di esperienze: potrebbe essere questa la ricetta di Eugenio Boer per i prossimi anni e per dare direzione a un viaggio ininterrotto, all’inseguimento di sogni sempre nuovi. A questo scopo anche un Raptor grande e grosso, che possa portarci un po’ ovunque, può rivelarsi utile.