L’Associazione provinciale dei pubblici esercizi di Milano, Lodi e Monza ha rinnovato il suo Consiglio direttivo. Eletto presidente Lino Stoppani. Accanto a lui 26 consiglieri tra cui il cuoco membro di Euro- Toques
Tra di loro c’è anche Matteo Scibillia, responsabile scientifico di Italia a tavola, che ha ricevuto la delega per la valorizzazione della cucina del territorio e della ristorazione.
Matteo Scibilia tra i consiglieri di Epam
Scibillia, nativo di Bari ma residente a Ornago (Mb) da quasi 30 anni, noto ristoratore, è stato eletto consigliere di Epam, associazione aderente a Confcommercio, ricevendo l’incarico di curare e presidiare la ristorazione e la cucina dell’area Milanese, di Lodi e Monza e Brianza. L’incarico è il naturale proseguimento dei tanti anni di esperienza che Matteo ha maturato.
Scibilia, già vicepresidente dell’Ascom-Confcommercio di Vimercate e socio di Euro-Toques, si occupa di ristorazione e soprattutto di food per il settore Horeca da oltre 40 anni. Ha sempre respirato cibo, in quanto suo padre ha avuto una salumeria a Bari, nello storico quartiere San Pasquale, fino agli anni ‘70, quando si è trasferito a Milano.
Dopo anni di esperienza nel mondo delle forniture alberghiere, Scibilia, complice la conoscenza e la frequentazione, proprio come fornitore, di Gualtiero Marchesi, decide di diventare cuoco. Apre un ristorante insieme alla moglie Nicoletta, il VinoDivino a Vimercate, per poi rilevare l’Osteria della Buona condotta a Moriano nel Pavese e infine trasferirsi a Ornago, sempre con la stessa insegna. Negli ultimi anni il trasferimento a Milano, dove gestisce il centralissimo Piazza Repubblica.
In questi anni ha anche insegnato in alcune scuole alberghiere, tra cui la Galdus e il Capac a Milano e al Ciofs opere Salesiane a Cinisello Balsamo.
Tradizione e cultura: una missione da portare avanti
Che significato hanno per lei tradizione e cultura nella cucina?
Sono due concetti a cui ispirarsi per lavorare alla ripresa della ristorazione. La nostra storia non può soccombere dinnanzi alla pandemia e scomparire a scapito della cucina etnica, pur in molto casi eccellente.
Tra le strade da percorrere potrebbe esserci il rilancio delle Denominazioni comunali?
Sì, è una mia volontà riprenderle e rilanciarle per Milano. L’obiettivo delle Deco, progetto nato dalla mente di Gino Veronelli (noto gastronomo scomparso nel 2004), era salvaguardare i prodotti e le ricette di uno specifico territorio, in cui l’amministrazione comunale di competenza creava un documento con i prodotti tipici e le ricette specifiche del proprio comune. Ci sono esempi anche vicini a noi, come l’asparago rosa di Mezzago e la patata di Oreno. In questo senso c’è molto lavoro da fare.
Un lavoro che potrebbe trovare ulteriore forza in vista delle Olimpiadi 2026 Milano-Cortina, una grande vetrina…
Sarà sicuramente l’occasione per far riscoprire alcuni gioielli nascosti del nostro territorio, spesso vicini dal punto di vista geografico ma distanti nel pensiero.
Per esempio?
Per rimanere vicino a casa, a Ornago c’è la tomba di Pietro Verri, politico e scrittore milanese, parente del Manzoni e soprattutto grande appassionato di cucina: scrisse del panettone, della michetta e della costoletta alla milanese. Non solo però: possiamo raccontare delle stupende cantine dell’azienda Meregalli di Monza, con tracce della presenza della monaca di Monza, o delle catacombe in piazza Santo Stefano a Vimercate o delle bellezze di Leonardo da Vinci a Trezzo sull’Adda o delle scoperte archeologiche a Cornate, un territorio da tempo fagocitato e sacrificato all’industria ma ricco di storia. Se per Brianza ci allontaniamo dal concetto politico avvicinandoci a quello geografico, anche vini e formaggi di Montevecchia rientrano di diritto in questo nostro viaggio di scoperta.
Non solo in Brianza cibo e storia si fondono…
Non possiamo dimenticarci l’Abbazia di Chiaravalle con i suoi monaci autori della nascita del Grana Padano o i vini di San Colombano, milanesi di nascita ma sacrificati da una politica miope al confine con la provincia di Lodi, e per chiudere il Duomo di Milano con la sua storia legata alla nascita del risotto alla milanese e lo zafferano utilizzato per dipingere le sue vetrate o in corso Magenta, a pochi passi da Santa Maria alle Grazie, la casa e i giardini di Leonardo con la sua vigna e l’uva preferita dal maestro: il Moscato di Candia. Milano, d’altronde, è una delle prime province agricole d’Italia.
Il passato è importante e da valorizzare, questo è chiaro. Ma qual è il futuro per la ristorazione?
Anche a tavola vince ancora la tradizione. L’impressione è che la gente voglia mangiare piatti semplici, precisi e facilmente identificabili e traducibili. Questo è un tema centrale, così come quello del prezzo. La qualità è un valore che viene riconosciuto. Le persone sanno che un olio, una carne e un vino buoni hanno costi importanti, però li centellina. Una volta si mangiavano antipasto, primo, secondo e dolce. Ora l’italiano ha ridotto spesso a due piatti. Lo straniero addirittura spesso preferisce un piatto solo ma molto abbondante.
Come fare quindi per restare al passo?
La chiave è diversificare, provare sempre strade nuove. Un’offerta più elastica e attenta alle nuove esigenze dei clienti che magari hanno poco tempo ma comunque la voglia di bere un bicchiere di vino e mangiare qualcosa al volo. Lo sto facendo io in prima persona, trasformando una parte del mio ristorante in bistrot. Certo, non è comunque facile. Lo smart working ha cambiato i pranzi, i costi dell’energia sono alle stelle e il futuro è difficilmente decifrabile, con conseguenze su tutta la gestione del lavoro.