Per il bistellato Ernesto Iaccarino conta il gusto prima di tutto

di Stefano Nico

Chef al Don Alfonso 1890, 2 stelle Michelin, ha sempre vissuto di cibo. Predilige il gusto all’estetica: è necessario «far sentire tutti gli ingredienti». La collaborazione tra sala e cucina è fondamentale

Nato nel 1970, socio Euro-Toques Italia, Ernesto Iaccarino ha scelto un percorso personale e originale. Secondogenito (il fratello Mario è maître), si è laureato in Economia e Commercio alla Bocconi di Milano nel 1999, ma il richiamo del territorio lo ha ricondotto a Sant’Agata sui due Golfi. Dietro la cucina a vista del Ristorante Don Alfonso 1890, splendida nel suo essere quasi interamente maiolicata, esegue oggi i precetti secolari degli Iaccarino: ingredienti ineccepibili. E poi ci sono estro e inventiva sia nelle moderne interpretazioni dei classici regionali come paccheri e bucatini, sia nelle sorprese improvvise (Cernia alla vaniglia) che fanno della sua tavola uno dei luoghi da non perdere in un tour gastronomico nell’Italia centromeridionale.

Ernesto è di fatto lo chef del primo ristorante del Sud Italia ad avere ottenuto le 3 stelle Michelin, nel quadriennio 1997-2001 (e da allora sono sempre due). Ma l’affare di famiglia oggi è esteso anche a una serie impressionante di consulenze nel mondo.

Come nasce la tua passione per la cucina?
Nasco in una famiglia che fa da 4 generazioni fa questo lavoro. Il mio bisnonno ha iniziato nel 1890 con la pensione Iaccarino, proprio qui dove siamo ancora oggi. Infatti il ristorante Don Alfonso 1890 nasce nel 1973 e prende il nome da questo bisnonno che ha iniziato l’attività. Se nasci in una famiglia così, o ami o odi il cibo. Non ci sono vie di mezzo. Ed io sono totalmente innamorato del lavoro che faccio.

Qual è il tuo piatto identificativo?
Non ho un piatto identificativo, piuttosto parlerei di una idea di cucina. Noi facciamo cucina mediterranea moderna. Ti faccio un esempio con uno degli ultimi piatti che abbiamo realizzato per la stagione 2021: Cappello del prete delle montagne di Avellino, marinato alle spezie di oriente, vellutata di zucca, salsa di nocciole di Giffoni, mostarda di arance ai sentori di wasabi e polvere di borragine. Quest’inverno ero in provincia di Avellino ed un amico macellaio mi fa assaggiare un pezzo di muscolo, il cappello del prete, di manzo dell’avellinese. Mi innamoro al primo assaggio. Sono gli ingredienti ad ispirare i piatti, e non viceversa. Per me i cinesi sono i migliori al mondo a cucinare le carni, ed allora mi ispiro alla loro tecnica dello stracotto, poi mi viene in mente la vellutata di zucca di nonna Angela, rigorosamente senza burro e panna, solo zucca, patate ed olio extravergine di oliva. La mostarda di frutta di solito nel mantovano, e nel Nord Italia, è abbinata allo stracotto di carne. Mi serviva però ancora un po’ di sprint ed allora ho pensato al wasabi. Avevo in casa le nocciole di Giffoni, le provo insieme a tutto il resto. Funziona. Questo piatto è un viaggio da Oriente ad Occidente che passa per il Nord Italia ed atterra nelle materie prime della nostra regione. Bisogna sempre mantenere l’identità, ma va fatto sempre con gli occhi aperti al nuovo.

La cucina è da sempre evoluzione e contaminazione di tecniche e di prodotti. Di esempi potrei farne tanti. Uno su tutti? Il pomodoro arriva in Italia solo dopo la scoperta delle Americhe, oggi fa parte della nostra tradizione gastronomica consolidata e sembra che ci appartenga da sempre. In realtà in cucina viene usato solo da poco più di 2 secoli, che è niente rispetto alla tradizione gastronomica della nostra regione che trova radici nella Magna Greci. Quindi parliamo di circa 3.000 anni fa.

Ci sono ingredienti e/o piatti che ti hanno ispirato non tanto per i sapori ma per l’aspetto estetico?
Guarda, io penso che un piatto vada mangiato. Parto dall’idea che un piatto vada ricordato per quello che esprime al palato. Anche perché sono convinto che la memoria del gusto sia la più forte di tutte, anche più forte di quella visiva. Se facciamo una riflessione su questo, posso dirti che un bimbo appena nasce non vede bene ma la prima cosa che fa è succhiare il latte materno. Inizia da subito a sviluppare la memoria del gusto. A volte mi è capitato di dover sacrificare un po’ di estetica in nome del gusto: se un piatto non funziona come lo avevo immaginato, cambio l’impiattamento e mi concentro sull’equilibrio, sulla possibilità di far sentire tutti gli ingredienti e di creare quell’armonia e quella lunghezza al palato che poi non dimentichi. Una volta fatto questo, mi concentro sulla parte estetica e provo a trarre il massimo.

Quali sono le figure (non necessariamente chef) dalle quali hai tratto ispirazione durante il tuo percorso professionale?
Molte. Sicuramente Luigi Veronelli. Lui aveva la sensibilità di dedicare tempo a spiegare la sua filosofia e la sua visione anche ad un bimbo come me che aveva solo 10 anni. Poi mio padre Alfonso che si è inventato un nuovo stile di cucina, non guardando al Nord Europa come si faceva negli anni ’80, ma partendo dalla Dieta mediterranea. Oggi in Italia la sua idea di cucina posso dire che ha influenzato quasi tutti i top chef.

Parlando di lavoro di squadra… Quanto conta la sintonia tra chef e sala per comunicare adeguatamente un piatto?
Tantissimo. Noi dedichiamo moto tempo a questo. Faccio assaggiare i piatti a tutti i ragazzi che si occupano poi di spiegarli ai clienti. Ne discuto con loro e gli preparo delle note da studiare per comunicare le cose che considero importanti da far percepire.

Se potessi aprire un ristorante in qualsiasi luogo del mondo, dove lo apriresti?
Noi abbiamo aperto già in tutti i Continenti, però mi piacerebbe aprire a Dubai il prossimo.

Guardandoti dall’esterno, chi ti senti di ringraziare?
A tante persone, ognuna di loro mi ha dato qualcosa. Però penso che molto dipende da te. Nel senso che le sfide sono quotidiane e quindi dipende sempre molto da te. Se hai ogni giorno voglia di metterti in discussione, provando a migliorare sempre quello che fai, devi sempre avere fame di apprendere, di conoscere, di approfondire. Purtroppo queste cose non può dartele nessuno.

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