Identità Golose di Milano ha dedicato marzo al tartufo, organizzando due cene realizzata dal cuoco del Romeo Hotel di Napoli con la materie prima fornita dall’azienda di Valsamoggia (Bo)
di Guido Gabaldi
Le cene firmate di Identità Golose a Milano, il ristorante che propone a rotazione il meglio dell’offerta ristorativa italiana (e non solo), a marzo si soffermano sul tartufo, fornito da Appennino Food Group, azienda di Valsamoggia, provincia di Bologna.
Sottobosco, aglio, formaggio fermentato, fungo fresco, sono solo alcune delle note olfattive che riempiono le sale e rallegrano le cucine quando si lavora questo prezioso fungo ipogeo. Identità Golose ha voluto proporre in due cene questo protagonista storico della scena nazionale, attraverso la maestria di Salvatore Bianco, cuoco del ristorante “Il Comandante” del Romeo Hotel – una stella Michelin a Napoli e membro di Euro-Toques, l’associazione dei cuochi europei.
Salvatore Bianco a Identità Golose
Nato a Torre del Greco, dopo aver girato l’Italia è tornato ormai da tempo a Napoli, in un locale con vista su quel Golfo sognato dagli innamorati e celebrato dalle canzoni. La stella arriva probabilmente per l’eleganza e l’equilibrio, il suo partire dalle tradizioni e praticare altre strade, proponendo solo in parte cucina di seppie, orate e triglie, per potersi dedicare ad altri classici e outsiders, come animelle, uova a bassa temperatura, piccioni, brodo dashi e alghe kombu.
La cena milanese di Salvatore Bianco non ha un accento spiccatamente napoletano: magari lo si ritrova solo come sottofondo nella terrina di coniglio con fondo all’ischitana, un armonioso tenerume appoggiato su intingolo a base di pomodoro, olio evo, pinoli, olive e spezie isolane. Il re tartufo non si impone ma si concede nel primo piatto, la pasta ripiena con cremoso di bufala, crema di finocchio alla brace e tartufo: nel caso di specie, si tratta di bianchetto, dal caratteristico sentore di aglio, raccolto da gennaio ad aprile in Toscana, nelle Marche e in Romagna. Si prosegue con il piccione, prima un filetto in salsa di barbabietola con sentori di caffè e poi la coscetta, guarnita da un’insalatina di fragola, barbabietola e fruttini primaverili. Si riaffaccia il tartufo, versione nero estivo, a punteggiare il dessert: non deve mancare un briciolo di inaspettato, da Identità Golose. Il Sottobosco di Salvatore Bianco è un terriccio cremoso sotto e granulare sopra; la ganache è di nocciola, lo strato affiorante è un misto di foglioline di cioccolato fondente con crumble di barbabietola e uova di lumaca. Una trovata originale, anche come impiattamento, che centra perfettamente il bersaglio.
La stagione del tartufo? Tutto l’anno
Tartufo protagonista al ristorante, tartufo tutto l’anno: è questo lo slogan adottato da Appennino Food Group spa, specializzato in funghi, tartufi e variazioni sul tema. La presentazione nel contesto milanese è affidata al managing director, Luigi Dattilo.
«Non è un caso che in Italia il tartufo sia tanto apprezzato – esordisce Luigi Dattilo – Ne esistono forse cento varietà in tutto il mondo, ma le cinque che si trovano da noi sono disponibili e commercializzabili tutto l’anno. È un mito, insomma, che il tartufo si trovi solo da settembre a dicembre: in realtà, tra Bianco pregiato, Nero pregiato, Nero uncinato, Nero estivo e Bianchetto i dodici mesi vengono interamente coperti».
Anche l’estrema difficoltà di conservare il tartufo rientra fra i miti?
Certamente no, siamo di fronte a un prodotto delicato che, in mancanza delle giuste attenzioni, si può rovinare facilmente. È per questo che stiamo offrendo ai ristoranti, in uso gratuito, una speciale teca ipogea in cui è ricreato il microhabitat del bosco, consentendo così al tartufo di vivere e mantenersi come se fosse in natura. Un mix di design e funzionalità che mantiene il tartufo alla giusta temperatura e umidità, grazie a un sistema di ultrasuoni che, scindendo la molecola dell’acqua, la rende leggera e crea quella sorta di “nebbiolina” che prolunga la vita del tartufo, costituito per l’80% di acqua. Si conservano così la consistenza, il colore e il profumo, che normalmente si deteriorano dopo 7-10 giorni in frigorifero, dentro un contenitore di vetro: nella teca, invece, possiamo arrivare anche a venti giorni, come limite massimo. Il tempo di conservazione, comunque, dipende molto da quanto è già “maturo” il prodotto che abbiamo a disposizione.
Cos’altro devono sapere i ristoratori e i gourmet per liberarsi dai luoghi comuni relativi alle trìfole?
Dovrebbero allargare gli orizzonti e smettere di pensare che il tartufo sia solo bianco e piemontese; quello è di gran pregio, certo, ma esistono altre specie e altre località che meritano eguale considerazione. E poi stiamo parlando di un dono della terra che è molto condizionato dall’andamento stagionale: quindi non ha senso dire che il migliore è l’albese, dato che la qualità dipende da un gran numero di fattori (umidità, grado di maturazione, composizione del terreno, etc.), anche stagionali, ed è vero invece che la differenza è data pur sempre da profumo, consistenza e colore. La combinazione di queste tre proprietà determina il valore di un tartufo.
All’inizio abbiamo detto dei sentori, ma pure sulle sfumature di sapore si potrebbe spaziare in lungo e in largo: e parleremmo di cacao amaro, brandy, aglio, peperoncino, ma non di quello aggressivo, in qualche caso perfino idrocarburi, tutte note che talora si stemperano addirittura nel miele o in un ricordo di esso. Considerata la complessità organolettica e il valore commerciale del tartufo, possiamo ben dire di essere fortunati, qui in Italia, ad averne in abbondanza: alle aziende come Appennino Food Group e ai ristoranti come Identità Golose tocca il gioioso compito di rendergli onore, in purezza o nelle preparazioni che la smisurata fantasia italiana suggerisce.